QUANDO IL GIOCO DIVENTA PADRONE
E’ stato un interessante confronto quello che si è verificato lo scorso lunedì 9 Maggio nel corso del quinto incontro della Scuola Popolare sul tema del gioco d’azzardo e degli effetti di dipendenza che esso può creare. In veste di relatori erano presenti Gabriele Musso, autore di una ricerca dal titolo: “LA CARRIERA DEVIANTE DEL GIOCATORE D’ AZZARDO: UNA PROSPETTIVA SOCIOLOGICA” e Roberto Argenta psicologo del SERT di Asti, una delle prime struttura pubbliche ad occuparsi delle dipendenze da gioco.
Argenta ha esordito con alcune cifre: fino al 1989 nel nostro Paese il volume di affari complessivo dei giochi di azzardo era pari a circa 20 miliardi di Euro, sostanzialmente allineato con quello di altri Paesi europei, poi, soprattutto a causa della liberalizzazione adottata, l’ Italia è diventata, con circa 90 miliardi/anno, uno dei primi paesi al mondo ( Francia e Spagna hanno attualmente un volume annuo complessivo di 23 e 20 miliardi di Euro rispettivamente). Di questa somma considerevole solo l’ 8% va all’ Erario in quanto la tassazione degli utili è particolarmente favorevole per i gestori dei giochi.
Visti dello psicologo questi giochi, soprattutto i più semplici, fanno leva su due elementi: lo stimolo del guadagno, sempre più forte nei momenti di crisi economica e la casualità delle vincite che rende inutili abilità personale ed esperienza. L’ insieme di questi fattori genera uno stato di dipendenza, non condizionato dal livello educativo, culturale o economico dei soggetti coinvolti, caratterizzato da una sorta di “pensiero alterato” che spinge i giocatori a puntare sul verificarsi di un evento anche se questo è in contrasto con la logica. Il caso classico è quello delle scommesse sui numeri ritardatari del Lotto, basate sull’ erroneo principio che più il tempo passa più aumenta la probabilità di una loro estrazione. Anche la tendenza ad attribuire un significato specifico a numeri e carte, oppure quella di creare relazioni artificiali tra queste e determinati eventi, è un altro esempio di “pensiero alterato” che tenta inutilmente di utilizzare l’ esperienza per governare la casualità di giochi in cui le possibilità di vincita sono assolutamente irrisorie. Questo si verifica anche in alcuni giochi gestiti dallo Stato oppure nel caso delle slot-machines la cui diffusione è stata contrastata solo da qualche Sindaco particolarmente attento. Il gioco d’azzardo, ha concluso Argenta, è una delle peggiori dipendenze perché non deriva dall’ assunzione di sostanze ma è un “fatto mentale” del giocatore che deve intervenire sul proprio modo di essere; nell’ arco di 4 – 5 anni circa il 60% dei soggetti è recuperabile anche facendo ricorso a Gruppi di auto-aiuto o interventi sull’ intero nucleo familiare che spesso è il più esposto al disagio.
Sugli effetti sociologici del gioco è quindi intervenuto Gabriele Musso che ha presentato i risultati della sua ricerca qualitativa, basata su interviste approfondite ad un gruppo di giocatori eterogenei per età, istruzione, reddito e tipo di gioco praticato. Tale ricerca valuta in primis l’ influenza dell’ ambiente sociale sia nell’ apprendimento di un gioco fatto di tecniche, rituali e terminologie, sia l’ aspetto gratificante dell’ affiliazione ad un gruppo costituito spesso da persone più adulte. Successivamente vengono analizzate le “carriere di gioco” evidenziando tre percorsi tipo: il giocatore assiduo stimolato dal rischio e con un reddito mediamente elevato, il giocatore costante che inizia per divertimento e gioca in funzione del reddito disponibile, ed il giocatore semiprofessionista che, spinto dal guadagno, fa del gioco una seconda professione.
Dal punto di vista sociologico, queste forme costituiscono quindi una devianza rispetto ai valori proposti dalla Società ed i giocatori, secondo Musso, ne sono consapevoli al punto che i più ritrosi nelle interviste sono state le donne e gli utilizzatori delle slot-machines cioè coloro che percepiscono maggiormente la riprovazione della Società. Facendo proprio un modo di pensare comune, anche i giocatori considerano la loro devianza una sorta di patologia individuale trascurando l’ influenza che l’ ambiente sociale ha avuto sulla loro devianza.
Va osservato che ciò che il sociologo definisce devianza è visto dallo psicologo come una dipendenza; entrambi però concordano nel ritenere che i giovani siano i soggetti più a rischio, così come confermato anche da analisi quantitative su larga scala, viste la loro minore esperienza nella gestione delle emozioni. Anche la maggior parte degli intervistati da Musso ha iniziato a giocare molto presto. E’ quindi sui giovani che occorre intervenire, ha concluso Argenta, invitando tutti gli educatori ad offrire, e testimoniare, che esistono delle alternative positive al consumismo imperante perché chi matura una scelta di vita più sobria sarà più consapevole che la propria realizzazione non si esaurisce nel semplice possesso.