Catechesi del Papa: Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.

Archivio catechesi<a

Oggi ci soffermiamo su un passo commovente del Vangelo (cfr Mt 11,28-30), nel quale Gesù dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. […] Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» (vv. 28-29). L’invito del Signore è sorprendente: chiama a seguirlo persone semplici e gravate da una vita difficile, chiama a seguirlo persone che hanno tanti bisogni e promette loro che in Lui troveranno riposo e sollievo..

Il primo imperativo è «Venite a me». Rivolgendosi a coloro che sono stanchi e oppressi, Si tratta di quanti non possono contare su mezzi propri, né su amicizie importanti. Essi possono solo confidare in Dio. Consapevoli della propria umile e misera condizione, sanno di dipendere dalla misericordia del Signore, attendendo da Lui l’unico aiuto possibile. Nell’invito di Gesù trovano finalmente risposta alla loro attesa: diventando suoi discepoli ricevono la promessa di trovare ristoro per tutta la vita. Una promessa che al termine del Vangelo viene estesa a tutte le genti: «Andate dunque – dice Gesù agli Apostoli – e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19). Accogliendo l’invito a celebrare questo anno di grazia del Giubileo, in tutto il mondo i pellegrini varcano la Porta della Misericordia aperta nelle cattedrali, nei santuari, in tante chiese del mondo, negli ospedali, nelle carceri. Perché varcano questa Porta della Misericordia? Per trovare Gesù, per trovare l’amicizia di Gesù, per trovare il ristoro che soltanto Gesù dà. Questo cammino esprime la conversione di ogni discepolo che si pone alla sequela di Gesù. E la conversione consiste sempre nello scoprire la misericordia del Signore. Essa è infinita e inesauribile: è grande la misericordia del Signore!

Il secondo imperativo dice: “Prendete il mio giogo. Nel contesto dell’Alleanza, la tradizione biblica utilizza l’immagine del giogo per indicare lo stretto vincolo che lega il popolo a Dio e, di conseguenza, la sottomissione alla sua volontà espressa nella Legge. In polemica con gli scribi e i dottori della legge, Gesù pone sui suoi discepoli il suo giogo, nel quale la Legge trova il suo compimento. Vuole insegnare loro che scopriranno la volontà di Dio mediante la sua persona: mediante Gesù, non mediante leggi e prescrizioni fredde che lo stesso Gesù condanna. Basta leggere il capitolo 23 di Matteo! Lui sta al centro della loro relazione con Dio, è nel cuore delle relazioni fra i discepoli e si pone come fulcro della vita di ciascuno. Ricevendo il “giogo di Gesù” ogni discepolo entra così in comunione con Lui ed è reso partecipe del mistero della sua croce e del suo destino di salvezza.

Ne consegue il terzo imperativo: “Imparate da me”. Ai suoi discepoli Gesù prospetta un cammino di conoscenza e di imitazione. Gesù non è un maestro che con severità impone ad altri dei pesi che lui non porta: questa era l’accusa che faceva ai dottori della legge. Egli si rivolge agli umili, ai piccoli, ai poveri, ai bisognosi perché Lui stesso si è fatto piccolo e umile. Comprende i poveri e i sofferenti perché Lui stesso è povero e provato dai dolori. Per salvare l’umanità Gesù non ha percorso una strada facile; al contrario, il suo cammino è stato doloroso e difficile. Come ricorda la Lettera ai Filippesi: «Umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (2,8). Il giogo che i poveri e gli oppressi portano è lo stesso giogo che Lui ha portato prima di loro: per questo è un giogo leggero. Egli si è caricato sulle spalle i dolori e i peccati dell’intera umanità. Per il discepolo, dunque, ricevere il giogo di Gesù significa ricevere la sua rivelazione e accoglierla: in Lui la misericordia di Dio si è fatta carico delle povertà degli uomini, donando così a tutti la possibilità della salvezza. Ma perché Gesù è capace di dire queste cose? Perché Lui si è fatto tutto a tutti, vicino a tutti, ai più poveri! Era un pastore tra la gente, tra i poveri: lavorava tutto il giorno con loro. Gesù non era un principe.

Cari fratelli e sorelle, anche per noi ci sono momenti di stanchezza e di delusione. Allora ricordiamoci queste parole del Signore, che ci danno tanta consolazione e ci fanno capire se stiamo mettendo le nostre forze al servizio del bene. Infatti, a volte la nostra stanchezza è causata dall’aver posto fiducia in cose che non sono l’essenziale, perché ci siamo allontanati da ciò che vale realmente nella vita. Il Signore ci insegna a non avere paura di seguirlo, perché la speranza che poniamo in Lui non sarà delusa. Siamo chiamati quindi a imparare da Lui cosa significa vivere di misericordia per essere strumenti di misericordia. Vivere di misericordia per essere strumenti di misericordia: vivere di misericordia è sentirsi bisognoso della misericordia di Gesù, e quando noi ci sentiamo bisognosi di perdono, di consolazione, impariamo a essere misericordiosi con gli altri. Tenere fisso lo sguardo sul Figlio di Dio ci fa capire quanta strada dobbiamo ancora fare; ma al tempo stesso ci infonde la gioia di sapere che stiamo camminando con Lui e non siamo mai soli.

.

UA-63078510-1