Dov’era Dio la notte del 23 agosto? |
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«O uomo, perché hai di te un concetto così basso quando sei stato tanto prezioso per Dio? Perché mai, tu che sei così onorato da Dio, ti spogli irragionevolmente del tuo onore? Perché indaghi da che cosa sei stato tratto e non ricerchi per qual fine sei stato creato?
Tutto questo edificio del mondo, che i tuoi occhi contemplano, non è stato forse fatto per te? Per te è stata regolata la notte, per te definito il giorno, per te il cielo è stato illuminato dal diverso splendore del sole, della luna e delle stelle. Per te la terra è dipinta di fiori, di boschi e di frutti. Per te è stata creata la mirabile e bella famiglia di animali che popolano l’aria, i campi e l’acqua, perché una desolata solitudine non appannasse la gioia del mondo appena fatto» (s. Pietro Crisologo).
La sovranità dell’uomo sul cosmo non è trionfalismo di specie, ma assunzione di responsabilità verso i deboli, i poveri, gli indifesi. L’unico titolo che questi hanno per essere rispettati, in assenza di altri privilegi e risorse, è quello di essere persona umana. Il Dio della Bibbia — ma anche di altre religioni — è un Dio «che ascolta il grido dei poveri», che «ha pietà del debole e del povero», che «difende la causa dei miseri», che «fa giustizia agli oppressi», che «nulla disprezza di ciò che ha creato».
L’incarnazione del Verbo ha apportato una ragione in più per prendersi cura del debole e del povero, a qualsiasi razza o religione appartenga. Essa non dice infatti soltanto “che Dio si è fatto uomo”, ma anche “che uomo si è fatto Dio”: cioè, che tipo di uomo ha scelto di essere: non ricco e potente, ma povero, debole e indifeso. Uomo e basta! Il modo dell’incarnazione non è meno importante del fatto.
Qualche volta questa verità che non siamo noi i padroni della terra ci viene bruscamente ricordata da eventi come quello del terribile terremoto della scorsa settimana. Torna allora a porsi la domanda di sempre: “Dov’era Dio?” Non commettiamo l’errore di pensare che abbiamo la risposta pronta a tale domanda. Piangiamo con chi piange, come faceva Gesù davanti al dolore della vedova di Naim o delle sorelle di Lazzaro.
Qualcosa però la fede ci permette di dire. Dio non ha progettato il creato come fosse una macchina o un computer, dove tutto è programmato dall’inizio in ogni dettaglio, salvo a operare periodicamente degli aggiornamenti. Per analogia con l’uomo, possiamo parlare di una sorta di “libertà” che Dio ha dato alla materia di evolversi secondo leggi proprie. In questo senso (ma solo in esso!) possiamo persino condividere il punto di vista degli scienziati non credenti che parlano di “caso e necessità”. Nell’evoluzione tutto viene “a caso”, ma il caso stesso è previsto dal Creatore e non è “a caso”.
Questo comporta rischi tremendi per l’uomo, ma anche un supplemento di dignità e di grandezza.
Ci saranno un giorno «cieli nuovi e terra nuova» (2 Pietro, 3, 13), liberi da ogni sofferenza, ma questo avverrà probabilmente solo alla fine dei tempi, quando la stessa umanità sarà perfettamente ed eternamente liberata dal peccato e dalla morte (cfr. Romani, 8, 19-23). Una cosa però Gesù ci assicura fin d’ora ed è che la creatura umana non è mai completamente in balìa degli elementi umani. «Cinque passeri — dice — non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!» (Luca, 12, 6-7).
Alla domanda: “Dove era Dio la notte del 23 agosto?”, il credente non esita perciò a rispondere con tutta umiltà: “Era lì a soffrire con le sue creature e ad accogliere nella sua pace le vittime che bussavano alla porta del suo paradiso”.
Noi credenti dobbiamo essere la voce non solo delle creature inanimate, ma anche dei nostri fratelli che non hanno avuto la grazia della fede. Non dimentichiamo, in particolare, di glorificare Dio per le strabilianti realizzazioni della tecnica. Sono opera dell’uomo, è vero, ma l’uomo, di chi è opera? Chi l’ha fatto? Ho posto a me stesso una domanda e la ripeto qui ad alta voce: glorifichiamo noi davvero Dio per le sue creature, o diciamo solo di farlo? La nostra è solo teoria, o anche pratica? Se non sappiamo farlo con parole nostre, facciamolo con i salmi. In essi persino i fiumi sono invitati a battere le mani al creatore (Salmo 98, 8).
La glorificazione non serve, naturalmente, a Dio, ma a noi. Con essa si «libera la verità» (Romani, 1, 18); si redime la creazione dalla caducità e dalla vanità, cioè dal non-senso, in cui l’ha trascinata il peccato degli uomini e la trascina oggi l’incredulità del mondo (Romani, 8, 20-21). «Tu non hai bisogno della nostra lode — dice un prefazio della messa rivolgendosi a Dio — ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva».
Se Francesco d’Assisi ha qualcosa da dire ancora oggi a proposito di ecologismo, è solo questo. Egli non prega “per” il creato, per la sua salvaguardia (al suo tempo non ce n’era ancora bisogno), prega “con” il creato, o “a causa del creato”, o ancora “a motivo del creato”. Sono tutte sfumature presenti nella preposizione “per” da lui usata: “Laudato si’, mi Signore, per frate sole, per sorella luna, per sorella madre terra”. Il suo cantico è tutto una dossologia e un inno di ringraziamento. Ma proprio da qui gli derivava quel rispetto straordinario verso ogni creatura per cui voleva che perfino alle erbe selvatiche fosse lasciato uno spazio per crescere.
«Signore Dio, Uno e Trino, / comunità stupenda di amore infinito, / insegnaci a contemplarti / nella bellezza dell’universo, / dove tutto ci parla di te. / Risveglia la nostra lode e la nostra gratitudine / per ogni essere che hai creato. / Donaci la grazia di sentirci intimamente uniti / con tutto ciò che esiste. / Dio d’amore, mostraci il nostro posto in questo mondo / come strumenti del tuo affetto / per tutti gli esseri di questa terra. Amen».
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